
Perugia e la Grande Guerra
Il Centenario della Grande Guerra è stato un appuntamento importante per rileggere un evento che cambiò radicalmente la storia europea e mondiale; in particolare assai interessanti sono stati gli svariati convegni e volumi che hanno gettato nuova luce sul cosiddetto “Fronte interno”, cioè sulle ripercussioni che la guerra ebbe nel contesto sociale ed economico di quelle città lontane dalle zone di combattimento, ma ugualmente investite da una mobilitazione che mutò profondamente le relazioni sociali, il sistema economico e amministrativo. Ormai appare chiaro a tutti che la prima guerra mondiale non risparmiò nessuno; essa raggiunse anche Perugia attraverso una pluralità di canali e da un certo momento in avanti fece la sua irruzione anche sulla scena della vita civile della città.
Cartolina propagandistica del 1916 [www.esercito.difesa.it]

Perugia interventista
Perugia visse il 1914 e parte del 1915, fino alle giornate del “maggio radioso”, le stesse dinamiche nazionali. Secondo il prefetto, Perugia era neutralista, fondamentalmente apatica, un po’ come era il carattere complessivo degli umbri; nel capoluogo umbro, guidato fin dal 1902 dal liberale conservatore Luciano Valentini, affiancato da una Deputazione provinciale di orientamento moderato, in scala ridotta, si riprodussero i contrasti che laceravano il tessuto civile della nazione. I primi a muoversi a favore dell’intervento furono i nazionalisti, insieme ai liberali-monarchici. Subito dopo i nazionalisti, a favore dell’intervento, si mobilitarono i repubblicani, a quel tempo abbastanza numerosi nella regione dove potevano contare su trentuno sezioni, con quasi 4.700 iscritti, numero che ne faceva la quinta città italiana, preceduta solo da Forlì, Ravenna, Ancona e Roma. Tra i più noti Guglielmo Miliocchi, caposaldo e portabandiera degli ideali repubblicano-mazziniani e massonici di tutta l’Umbria, e in particolare di Perugia. Fu proprio lui a prodigarsi perché simpatizzanti o militanti garibaldini, repubblicani, socialisti e anarchici, si raggruppassero per partire volontari e combattere una guerra che chiudesse eroicamente il nostro Risorgimento. Lui stesso, nell’ottobre del 1915, partirà volontario preoccupandosi di inviare continuamente contributi scritti al settimanale “Il Popolo” (organo ufficiale dei repubblicani umbro-sabini), con evidente scopo di tenere costantemente informati i compatrioti sulla situazione al fronte, sempre tenendo alto il sentimento nazionalistico e sottolineando che la causa per cui era andato a combattere era una causa di giustizia.
Interventisti furono poi i socialisti del neonato Partito Socialista Riformista Italiano (PSRI), che contava numerosi iscritti e aveva come autorevole guida il prof. Raffaello Silvestrini, rettore dell’Università. Fu soprattutto attraverso le pagine de “Il Grifo Rosso” che si sviluppò una violenta campagna interventista, che raggiunse l’apice nel marzo 1915 con un articolo nel quale venivano accomunati, con parole di disprezzo, preti, socialisti e donne, tutti colpevoli di essere arroccati su posizioni rigidamente neutraliste. L’interventismo era alimentato in città anche della retorica del gruppo futurista; a Perugia, già dal 1912, esisteva un gruppo avanguardistico, alimentato da giovani forze intellettuali regionali, che non fu solo frutto dell’irraggiamento delle “serate futuriste” promosse da Filippo Tommaso Marinetti. Figura centrale, sin dal primo decennio del Novecento, appare Gerardo Dottori, collaboratore del polemico giornale fiorentino “La Difesa dell’Arte” e protagonista di un animato dibattito sulle colonne de “L’Unione Liberale” nei confronti degli ammuffiti insegnamenti dell’Accademia di Belle Arti di Perugia, portato avanti in nome di un’arte moderna, che rompesse con i linguaggi tradizionali. Un ruolo importante a favore dell’intervento esercitò la Massoneria, a Perugia tradizionalmente forte e pervasiva. A livello nazionale, il Grande Oriente d’Italia, con in testa il Gran Maestro Ettore Ferrari e l’ex Gran Maestro Ernesto Nathan, si schierò subito per l’intervento, con l’obbiettivo dichiarato di completare l’opera del Risorgimento, nel nome di Mazzini e di Garibaldi. E così fecero le due Logge del capoluogo umbro, la “Francesco Guardabassi” e la “XX Giugno 1859”, organizzando conferenze al loro iterno, partecipando alle iniziative pubbliche ed emettendo comunicati.
Partenza di soldati volontari da Perugia [www.fondazioneranieri.org]

Perugia neutralista. La posizione dei socialisti: “né aderire, né sabotare”
Nel campo neutralista, i più rigorosi su questa posizione furono certamente gli anarchici, a Perugia non numerosissimi come in altre zone d’Italia, ma comunque presenti, contando essi quattro Circoli e 78 aderenti. Essi facevano capo a Carlo Stincardini, autore qualche tempo prima del foglio “L’Azione Diretta”, e a Rodolfo Pennicchi, responsabile del Circolo intitolato a Carlo Cafiero. Ma la componente che si trovò più in difficoltà di fronte al rapido dilagare del conflitto in tutta Europa fu senza dubbio quella socialista; divisi fra rivoluzionari e revisionisti, massimalisti e minimalisti, riformisti interni (PSI) ed esterni (PSRI) – essi si trovarono di fronte a un bivio: seguire l’esempio degli altri “partiti fratelli” o assumere una posizione del tutto autonoma, che riaffermasse la lotta di classe in luogo della lotta di nazioni, propugnata da gran parte delle correnti politiche e culturali moderniste. Come è noto, il PSI, ancora scosso dai fatti della settimana rossa, riconfermò la sua natura pacifista e umanitaria, e si dichiarò contro il coinvolgimento italiano nel conflitto, ma la situazione di questo partito a Perugia e in Umbria si presentava abbastanza complessa. Per esempio il consigliere provinciale socialista Giuseppe Sbaraglini, di formazione mazziniana e garibaldina più che marxista, si schierò per l’intervento in guerra, venendo immediatamente sospeso dal partito. In città, il teatro Turreno offrì il palcoscenico a tutti i comizianti: da Cesare Battisti, che spiegò le ragioni dell’interventismo democratico, ad Arturo Caroti, massimalista, che lamentò la dissoluzione dell’internazionalismo causata dalla guerra e illustrò il dovere del proletariato nell’ora presente. Dichiarata la guerra, ai socialisti ufficiali non restò che riconoscere la propria impotenza. Per salvaguardare l’unità del Partito, riconfermando l’ininterrotta tradizione pacifista senza prestare il fianco alle accuse di disfattismo, la Direzione fece propria la parola d’ordine: “Né aderire, né sabotare”. Una posizione prudente, che strideva però con lo stato di eccitazione che si era ormai impadronito di gran parte dell’opinione pubblica, e che allargava la distanza coi compagni social-riformisti.
Militari in parata in Porta S. Croce, 1915 [www.isuc.alumbria.it]

Perugia neutralista. La posizione della Chiesa
Nelle campagne grande fu l’influenza della chiesa nel determinare una posizione di neutralità anche se tra il clero, particolarmente in quella fascia che più era stata affascinata dalla dottrina di Murri e di Sturzo, non mancava chi vedeva nella guerra l’occasione per un completo inserimento dei cattolici nella vita nazionale, dopo la frattura del Risorgimento. Un manifesto del 1 maggio 1915 dei giovani cattolici perugini, probabilmente scritto da Carlo Vischia, sottolineava la loro volontà di combattere per la Patria. Prese posizione anche il vescovo, mons. Giovanni Beda Cardinale (1910-1922), che dapprima in una lettera pastorale per la Quaresima del 1915 definì il conflitto “orrenda guerra”, ma successivamente, alle notizie delle alterne vicende dell’esercito italiano, non esitò, come gran parte dell’episcopato italiano, a promuovere funzioni per propiziare la vittoria delle armi italiane. Su questa linea anche mons. Beda partecipò ad alcune manifestazioni, come quella in occasione della costituzione di un nuovo reggimento a Perugia nel marzo 1916, e non mancò di assicurare il sostegno della diocesi all’iniziativa promossa dalla Deputazione Provinciale per coordinare le attività assistenziali, offrendo i locali del seminario alle autorità militari per utilizzarli come piccolo ospedale e partecipando alla imponente manifestazione patriottica del 2 dicembre 1917, indetta sempre dalla Deputazione provinciale, allorché, per la prima volta, un vescovo perugino salì le scale del Palazzo del Governo, edificato sulle rovine della Rocca Paolina, odiato simbolo del dominio pontificio. Per le numerose attività compiute durante il periodo bellico, nel 1919, il Re d’Italia conferì a mons. Beda cardinale l’onorificenza di Grande Ufficiale dell’ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. L’avvenimento è ricordato in un articolo apparso su “L’Unione Liberale” dell’11 gennaio 1919 che mise in evidenza il patriottismo dell’arcivescovo. Anche il clero perugino si dedicò attivamente alla raccolta di denaro da inviare alle popolazioni maggiormente interessate dalla guerra e promosse collette a favore degli orfani di guerra. Tuttavia l’attività assistenziale del clero perugino si manifestò soprattutto nella istituzione della “Casa del Soldato”, una struttura comprendente una scuola elementare e un sevizio di assistenza che funzionò dal dicembre 1916 alla fine del 1918. Artefice dell’istituzione fu don Luigi Piastrelli, allora tenente cappellano della Croce Rossa, un prete che, all’inizio del secolo, aveva avuto un ruolo di primo piano nelle vicende del modernismo. In pratica, nella Casa i soldati potevano essere aiutati a scrivere lettere ai loro cari, leggere libri e, se necessario, apprendere da un maestro i rudimenti della lettura e della scrittura, oltre che ascoltare musica.
Cappellano militare celebra messa al fronte [www.difesa.it]

Perugia alle armi
La città, insomma, con l’entrata in guerra aderisce compatta e si mobilita. Molti giovani universitari corsero ad arruolarsi, coerenti con le loro appassionate partecipazioni alle manifestazioni a favore della guerra che avevano agitato le piazze. All’università non si impose più alcun obbligo di frequenza e si accedeva spesso all’esame di laurea scegliendo la tesi o discutendo oralmente l’argomento assegnato. Dai documenti conservati negli archivi di Stato della regione e nell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, emergono le cifre di questa mobilitazione. Ben presto si formò la Brigata “Perugia”, che alla fine di giugno del 1915 fu inviata in Friuli per addestrarsi sul fronte giuliano e tra il 18 ottobre e il 20 novembre 1915 combatté aspramente nel goriziano, sul monte San Michele. Tuttavia, nessuno dei giovani borghesi partiti volontari potevano immaginare lo svolgimento lento e cruento della guerra e quando la morte piombò nella famiglia, costrinse tali ambienti ad affrontare il lutto ricorrendo a pratiche commemorative che consentissero di offrire una risposta consolatoria, capace al contempo di superare il contrasto tra amor patrio e dolore per la perdita. La necessità di conservare traccia della singola individualità nell’immensità del numero dei morti nelle tante battaglie della guerra è alla base della volontà dell’amministrazione comunale perugina di organizzare una capillare raccolta di notizie per la «formazione» di un Albo d’oro dei propri caduti.
[prof. Mario Tosti, docente di Storia Moderna - Università degli Studi di Perugia]
Il Milite Ignoto a Perugia in Piazza IV Novembre [www.tuttoggi.info]