G. Fornaca “Disturbi psichici in feriti di guerra”, pp. 516-528
Biblioteca Biomedica, Fondo Centro per la Ricerca e la Documentazione Storico-Psichiatrica
L’orrore della guerra combattuta nelle trincee, oltre a costare più di 9 milioni di morti, riempì i manicomi di tutta Europa di soldati malati, innescando un acceso dibattito tra gli psichiatri: se, infatti, alcuni studiosi, come Angelo Alberti, erano convinti che la pazzia dei soldati fosse diretta conseguenza delle atrocità del contesto bellico, la maggior parte di loro, tra cui Giacinto Fornaca, credeva che ad ammalarsi fossero solo i soldati predisposti geneticamente, quelli più fragili e inadatti, che sarebbero comunque impazziti indipendentemente dal conflitto. Inoltre, a complicare ulteriormente le cose c'era anche il caso dei soldati simulatori che, pur di far ritorno dal fronte, erano disposti a fingere la malattia mentale, anche grazie all'aiuto di medici compiacenti. Solo alla fine della guerra, quando ormai il numero dei soldati coinvolti divenne così ingente da rendere poco credibile la tesi del difetto ereditario, si cominciò ad analizzare il fenomeno legandolo direttamente all'esperienza bellica e a cercare di elaborare metodologie di cura e sostegno ai malati.