La Farmacopea persiana

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Pharmacopœa Persica ex idiomate Persico in Latinum conversa = Tafsīr-i murakkabāt-i qarābādīn-i pārsī

Lutetiae Parisiorum : Typis Stephani Michallet, 1681 Sala del Dottorato, VIII-4-41

Ange de Saint-Joseph (1636-1697), carmelitano scalzo missionario in Arabia e in Persia, tradusse questo trattato sui medicamenti del persiano Muzaffar ibn Muhammad al-Husayn (†1556). I timbri sul frontespizio dimostrano che il volume, come anche l’Antidotario romano qui esposto, si trovava precedentemente nella Biblioteca del Convento dei Francescani a Monteripido, un dato che documenta la tradizionale attenzione degli ordini religiosi per le pratiche mediche.

L'interesse per la medicina islamica fu vivo in Europa fin dal basso medioevo e quello per la farmacologia, in particolare, durò fin oltre il XVII secolo. I medici arabi redassero per primi farmacopee, cioè trattati con ricette fornite di dosaggi, che prescrivevano anche erbe e sostanze esotiche, estranee alla tradizione classica. In particolare si ricorda qui lo zucchero, ottenuto dalla canna da zucchero delle Indie Orientali: il suo impiego rivoluzionò la tecnica farmaceutica, dando vita addirittura a un nuovo mestiere, quello del “preparatore” di sciroppi (scharab). Arrivato in Occidente grazie agli Arabi, lo zucchero, in ragione del suo costo, fu inizialmente usato dagli speziali e dal XIV secolo anche come prezioso condimento in luogo del miele, diventando caratteristico del gusto agro-dolce tipico della cucina medievale e rinascimentale.

Degne di nota sono anche le ambigue norme sul vino, tradizionalmente considerato un rimedio, ma proibito dal Corano. Alcuni medici non lo prescrivevano, altri invece, legati alla tradizione classica, lasciavano la decisione al faqīh, un giureconsulto che concedeva o meno il permesso. (SB)

Pharmacopœa Persica ex idiomate Persico in Latinum conversa = Tafsīr-i murakkabāt-i qarābādīn-i pārsī Lutetiae Parisiorum : Typis Stephani Michallet, 1681 Sala del Dottorato, VIII-4-41