Bernardino Ramazzini: come nasce la medicina del lavoro

Bernardino Ramazzini [wikipedia.org]

Bernardino Ramazzini (1633-1714) è stato il primo medico che abbia studiato sistematicamente le relazioni che intercorrono tra attività artigianali svolte e malattie. Pioniere dei concetti di epidemiologia e di metodo epidemiologico, nel suo lavoro De Morbis Artificum Diatriba, dimostrò il nesso tra fattori di rischio propri di ogni professione ed insorgenza di specifiche patologie. Per questo motivo Ramazzini è considerato il precursore della moderna Medicina del Lavoro.



Nomenclatura delle professioni esaminate.[B. Ramazzini, De morbis artificum, 1713. Ex Biblioteca Centrale]


Il XVII secolo fu rivoluzionario per le scienze fisiche, e terminò con una forte inclinazione verso le interpretazioni meccanicistiche, anche in ambito medico. I tentativi di spiegare le funzioni vitali in termini scientifici e meccanici, si combinò al recupero dei testi di Ippocrate, favorendo la rifondazione di un metodo scientifico volto a studiare i fenomeni patologici, attraverso una dinamica di causa-effetto. L’attività di ricerca e letteraria di Bernardo Ramazzini, sviluppandosi in questo contesto culturale, si consolidò su tre principi:

-Il metodo epistemologico, ovvero il sistema razionale di identificazione delle cause di malattia

-La scienza medica come Arte finalizzata alla cura dell’intera collettività

-La superiorità della medicina clinica sopra quella speculativa e teorica


Lavorazione di tinteggiatura, XIV-XV sec. [historiemedievali.com]


Il medico emiliano fu tra i primi a parlare dei rischi per la salute connessi all’inalazione di polveri tossiche prodotte nella attività lavorative. Minatori, orefici, vasai, vetrai, tintori e conciatori erano sottoposti ad un forte impegno fisico, spesso accompagnato da una cattiva nutrizione e aggravato dall’aria degli ambienti di lavoro (a maggior ragione se chiusi) carichi di sostanze nocive. Il dibattito sull’inquinamento atmosferico delle città, che si aprì nel XVII secolo in area britannica, non rimase circoscritto alla consapevolezza che nelle metropoli ci fossero attività lavorative “inquinanti”, ma concepì la necessità di tutelare la salute di chi esercitava queste professioni.


Indice per soggetti [B. Ramazzini, De morbis artificum diatriba, 1713. Ex Biblioteca Centrale



La ricerca di Ramazzini, nutrita favorevolmente nella cultura medica illuministica, esaminò con attenzione descrittiva una grande varietà di casi: dalle malattie stagionali dei rurali, alla nocività delle esalazioni indotte dalla putrefazione della materia organica, dall’attività dei chimici e degli speziali fino all’abuso del tabacco. Il trattato Diatriba è suddiviso in capitoli, a ciascuno dei quali corrisponde la descrizione di una professione e la relativa causa principale di sviluppo della malattia. Segue una scala “gerarchica” di patogenicità, iniziando dai lavori più degradanti e di evidente impatto tossicologico (minatori), salendo la scala delle professioni (da quelle faticose a quelle sedentarie) fino alle patologie di impatto sociale (tabagismo).

 

 

 

Illustrazione di una miniera e dei lavoratori nelle gallerie [De re metallica, Georgius Agricola, translated from the first latin edition of 1556, New York, Dover Pub. Inc., 1950]


Il Capitolo I è dedicato ai Metallorum fossores, ovvero i minatori. Le patologie di un minatore, che rimangono più gravi a causa degli sforzi fisici, si assimilano ad altri Artifices che lavorano i metalli, come orefici, alchymistae, vetrai, vasai, stagnai, fonditori, pictores quoque et alii. Le considerazioni fatte attorno ai minatori, prendono in analisi i materiali specifichi manipolati da questa categoria: oltre ai rischi patogeni indotti dalle sostanze manipolate, il Ramazzini elabora un ricco catalogo di nomi e conoscenze in fatto di chimica inorganica. Nel descrivere le dure professioni legate all’estrazione mineraria, Ramazzini cita l’eleganter Plinius: bonorum omnium pretium fecimus, ovvero ogni cosa ha il suo prezzo. Il medico dimostra di avere una particolare attenzione per le fasce popolari più sfruttate, così come sottolinea l’alto valore morale del lavoro artigianale, fondamento del progresso di ogni società. Il prezzo da pagare, per questa necessità di sviluppo sociale, non doveva caricarsi tutto sulle spalle dei ceti più deboli, ma la popolazione manifatturiera, attraverso il progresso medico e una adeguata politica sociale, poteva essere messa nella condizione di lavorare con sempre meno rischi per la salute e maggiori riscontri economici e di benessere.



Vignetta umoristica sullo stato del fiume Tamigi, The Times, 1855 [wikipedia.org]

Seguono, nei capitoli successivi, i casi di chimici, speziali, macellai, conciatori, ecc. Le botteghe di molti artigiani sorgevano in vie cittadine dove si addensavano vapori carichi di elementi patogeni. Becchini e pulitori di fogne erano costretti a respirare le esalazioni che impregnavano sale cadaveriche e scoli, sottoponendoli costantemente all’assorbimento, per via cutanea e respiratoria, di particelle tossiche.  Chimici e speziali inalavano sostanze che alteravano la composizione dell’aria, fino a renderla corrotta. A questi motivi, e non ad altri, andavano per tanto ricondotti, gravi eventi di malattie epidemiche che poi ammorbavano le città.


 


Capitolo dedicato alle malattie degli agricoltori [B. Ramazzini, De morbis artificum diatriba, 1713. Ex Biblioteca Centrale]

Il Caput XXXVIIII De agricolarum morbis era dedicato ai rurali; questi, vivendo fuori dalla città, non ne subivano i miasmi e le intossicazioni, ma erano soggetti comunque alle malattie stagionali dovute al raffreddamento durante i lavori in campagna. Gli uomini adulti, ed anche i bambini, dovendosi impegnare nei campi anche con avverse condizioni meteorologiche, subivano i danni di nebbia, pioggia, vento freddo e umidità, soprattutto alle vie respiratorie. L’analisi climatologica, grazie a Ramazzini, divenne fondamentale per comprendere in modo scientifico i fattori primari di insorgenza di febbri epidemiche durante specifici periodi dell’anno.



Arnolfo di Cambio, Scriba seduto, Fontana degli Assetati, 1277 – 1281. Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria [catalogo.beniculturali.it

La chiave meccanica di studio delle patologie si applica anche ai professionisti della scrittura e della lettura (Caput II nel Supplementum). I lavoratori presi in esame sono i segretari, cancellieri e commessi, ovvero coloro che sono pagati per tenere libri e registri presso i magistrati, nelle botteghe dei mercanti e nelle corti dei principi. Gli scrivani e i copisti sono sottoposti alle dinamiche di compressione e contrazione, ciò causa danni all’apparato locomotore e agli organi interni, al pari dei sarti e degli altri sedentarii artifices, anche essi costretti a lavorare da seduti. Altri mali che assalgono gli scrivani sono la stanchezza degli occhi e la paralisi delle mani.




 

Capitolo dedicato alle malattie dei cantori [B. Ramazzini, De morbis artificum diatriba, 1713. Ex Biblioteca Centrale]


La stessa matrice meccanica d’interpretazione eziopatogenica si ritrova nel Caput XXXVIII De Morbis quibus tentari solent phonasci, cantores, aliique huius generis. Ramazzini dedica uno studio alle malattie che attaccano i maestri di Musica, i cantanti e tutti quelli che in genere esercitano la loro voce con sforzo e intensità. Le categorie prese in esame sono pertanto i cantanti di professione, i predicatori, i monaci e le monache e tutti i religiosi che fanno echeggiare nei loro templi i salmi.

 



Monaci che cantano con evidente intensità fisica [Giotto, Affresco Basilica Superiore di Assisi, 1295-1299 circa]

In effetti nei monasteri benedettini all’Ufficio cantato venivano dedicate almeno sei ore al giorno, per un totale di 215 salmi cantati a settimana. I religiosi, inoltre, celebravano la Messa, predisponevano processioni con il canto di Introiti e canducta, intonavano le litanie dei Santi ed altre preghiere comunitarie. Si aggiungono ai “professionisti della voce” i laici come gli avvocati, i pubblici stridatori (araldi), i filosofi antagonisti che disputano nelle scuole fino a perdere il fiato, e tutti coloro il cui mestiere è di parlare o di cantare. L’esercizio dell’uso della voce era considerato molto salutare, ma diventava nocevole nel momento in cui se ne faceva eccesso.

 

Caricatura di cantanti lirici, Prima donna, Prima tenore, Basso profundo [Gettyimages, Duncan, 1890]

La continua aeris expirationem pro cantus modulatione, seu recitatione, poteva sottoporre le voci “di basso”, sia maschili che femminili, a spingere talmente tanto a livello diaframmatico da condurre alla fuoriuscita di ernie inguinali. Le voci acute invece erano soggette a pressioni craniche e acufeni. Male comune ad ogni gamma di estensione vocale era comunque la raucedine e l’afonia prodotta dagli sforzi violenti della pratica del canto, della recitazione e dell’oratoria. Anche Morgagni aveva lasciato alcune osservazioni sui suonatori di strumenti a fiato morti perché attaccati da aneurismi, la cui causa era da attribuire all’esercizio spinto della respirazione profonda. I musici di strumenti a fiato, così come i cantanti, dovevano stare attenti ad esercitare la loro attività quando l’aria era umida e fredda, poiché questa poteva provocare gravi infiammazioni polmonari e auricolari.


Capitolo dedicato all’uso della carne e del veleno di vipera [P.A. Mattioli, Discorsi, 1568, Biblioteca del Dottorato]


Ai tempi del Ramazzini, come ai tempi di Galeno, la carne di vipera era considerata miracolosa e se ne usava e abusava, soprattutto nell’alta società. Anche il Ramazzini raccomandava di mangiare di questi rettili per guarirsi dalla scabbia. Il concetto farmacologico che guidava i medici nel prescrivere la polvere o la carne viperina era quello che un veleno potesse distruggere un veleno simile o analogo. Le proprietà medicamentose della vipera si trasmettevano poi alla Triaca o Theriaca, il “portentoso medicamento” già conosciuto da Dioscoride, che conteneva non solo la decantata carne del rettile velenoso, ma tanti altri ingredienti che ne correggevano e aiutavano l’azione.



Frontespizio [B. Ramazzini, De morbis artificum diatriba, Patavii, Per Jo. Baptistam Conzattum, 1713. Ex Biblioteca Centrale]


La prima edizione del suo trattato sulle malattie degli artigiani, De morbis artificum diatriba, fu pubblicata nel 1700 a Modena per i tipi di Antonio Capponi, impressoris episcopalis. Una seconda edizione, sempre in latino ma ampliata e corretta, venne stampata a Padova nel 1713 da Giovanni Battista Conzatti (l’edizione qui presentata). Vista l’impossibilità di reperire sul mercato la prima edizione mantovana, Ramazzini decise di ripubblicare la sua Opera, ma con revisioni e l’aggiunta di un Supplementum di dodici capitoli. Le motivate richieste di ristampa erano giunte sia da parte di giovani studiosi che da Doctis Viris. Contestualmente l’opera venne pubblicata tradotta in Germania. Venne successivamente stampata parecchie volte in diverse edizioni, date in luce a Londra come a Genova.




B. Ramazzini, Saggio sopra le malattie degli artefici, Venezia, co'tipi dell'ed. Giuseppe Antonelli, 1845 [Ex Biblioteca Centrale]


Importante fu la traduzione in francese, compiuta nel 1777 da De Fourcroy, il quale la arricchì di molte note. Nel 1845 vide la luce dai tipi dell’editore Giuseppe Antonelli, l’edizione italiana condotta sulla traduzione francese di De Fourcroy del 1778, col titolo di Saggio sopra le malattie degli artefici. L’opera è inserita dall’Antonelli, in una miscellanea editoriale dal titolo Enciclopedia delle scienze mediche, consacrata a tre fondamentali monografie: 1° il Trattato delle malattie degli artefici, di Ramazzini, 2° il Trattato della malattia mucosa di Roeder e Wagler, 3° la Memoria sull’angina di petto di Jurine. Antoine-François de Fourcroy, incaricato della cura dei libri della Société royale de médecine fondata nel 1778, credette di rendere grande utilità pubblica con la traduzione dell’opera del Ramazzini. Fu De Lassone, presidente e fondatore della Société royale de médecine, a mostrare desiderio di rendere fruibile al pubblico francese il lavoro del medico italiano. Il trattato, nella traduzione francese e poi recepita in quella italiana, si apriva con una introduzione letta alla seduta della Società reale di medicina, nel martedì 12 novembre 1776. Il libro di Ramazzini non cessò di godere, presso tutti i medici, della universale stima poiché egli per primo ed unico trattò nella sua opera la materia delle malattie professionali e dell’igiene pubblica. I fatti descritti e i consigli dispensati, ne facevano un punto di riferimento ineluttabile ancora dopo un secolo e mezzo.